Verso casa

Verso casa

Dopo tanti, tantissimi giorni nelle tende ai piedi del tetto del Mondo, è naturale aver voglia di tornare a casa. Il viaggio di rientro questa volta va verso ovest, la vecchia frontiera di Zangmo dopo il terremoto del 2015 è stata chiusa ed è stata aperta una nuova strada più ad ovest. Sempre affascinate attraversare l’altopiano con le sue distese infinite, ora che le strade sono asfaltate è ancora più piacevole… L’ultimo avamposto in territorio cinese si chiama Keroung, una cittadina costruita dal nulla molto moderna in una valle circondata da abeti, che potrebbe tranquillamente essere confusa per una stazione turistica trentina. La stazione di polizia e la dogana sono una dimostrazione di potenza militare ed economica, appena oltre la frontiera, si torna nel medio evo… Siamo stati in viaggio oltre 9 ore su strade che non avevo mai visto prima d’ora. Spesso il fuoristrada è stato in difficoltà, gole profonde, con fiumi impetuosi tutt’intorno; in caso di scoppio di uno pneumatico, non si ha scampo… Se uno Stato si giudica dalla capacità di comunicazione verso l’estero, qui siamo veramente ai minimi.

A Kathmandu, prima di riprendere il volo per casa c’è tempo per riordinare i pensieri ed è l’occasione per ringraziare le aziende e le persone che hanno reso possibile questa bella avventura.

Quando si ha un progetto ambizioso, con obbiettivi assoluti come in questo caso, l’insuccesso è da considerare, tutto deve filare per il verso giusto: forma fisica, tempismo, organizzazione logistica, meteorologia e condizioni della montagna. Quest’ultima ci ha voltato le spalle, senza l’insieme tutti questi fattori diventa impossibile portare a casa il primato.

La discesa dell’Hornbein Couloir con gli sci, è forse l’ultimo exploit possibile sull’Everest. E vero, ci abbiamo provato solo in due fino ad ora, ma probabilmente ciò significa che si tratta davvero (senza falsa modestia) di una sfida per pochi, d’altronde la montagna è lì, per chi volesse, basta mettersi in gioco…

Spesso i sogni rimangono nel cassetto se non ci fossero le aziende e le persone che con lo stesso coraggio degli alpinisti, si impegnano in progetti al di fuori dal comune. Nel nostro caso i ringraziamenti sono doverosi e sinceri.

 

Per cominciare: La Fondazione Polli-Stoppani che unitamente alla Fondazione Mediolanum e Banca Mediolanum ci ha permesso di concretizzare un aiuto a due istituti per bambini disagiati a Kathmandu ed un progetto sarà avviato nella valle del Solu Khumbu per i prossimi anni.

Rewoolution, azienda italiana leader nella produzione di filati in lana merino di altissima qualità che indossavamo giornalmente di cui abbiamo potuto apprezzare la traspirabilità e la grande termicità. In assoluto i migliori capi intimi indossati fino ad ora dal sottoscritto.

La Regione Valle d’Aosta, che non manca mai di sostenere i progetti ambiziosi che coinvolgano i propri cittadini. In questo caso, come nei precedenti siamo stai fieri di portare il nome della Vallée sul nostro capo.

Albaleasing, azienda Leader in Italia nel settore leasing, una società finanziaria specializzata nel leasing, fondata nel 2010 su iniziativa di alcune tra le più importanti Banche Popolari italiane.

Eurosport, dove ci sono grandi eventi sportivi non può mancare. Simo stati fieri che una rete televisiva sportiva così importante abbia sposato il nostro progetto. Ora dovremo mettere insieme la notevole mole di filmati realizzati e per agosto penso che il documentario sarà pronto.

Courmayeur, perché è uno dei posti più belli al mondo, è il paese che amiamo e dove adoriamo vivere e dove si torna sempre volentieri. Siamo stai fieri di portare il logo di Courmayeur sul tetto del mondo.

Aquilea, abbiamo apprezzato la qualità degli integratori che a 7000 metri, sono stati indispensabili per re equilibrare l’organismo dopo sforzi a vote al limite delle capacità atletiche e di resistenza degli alpinisti.

Bracchetto d’Acqui, ben cinque compleanni sono stati festeggiati durante i due mesi di permanenza in Tibet. Fondamentale potersi concedere qualche “piacere “al campo base, anche gli alpinisti stranieri hanno potuto apprezzare la qualità del Rosé, peccato non avere avuto qualche bottiglia in più….

Farmacia Dottor Nicola, piccola azienda che si caratterizza per la produzione Fitocosmetici di Montagna di altissima qualità. Scalare in Himalaya significa esporre il proprio corpo ad agenti atmosferici estremi, vento freddo, radiazioni solari intensissime. Avevamo tanti prodotti, creme solari, idratanti, ecc… di cui abbiamo potuto testare ed apprezzare la qualità. Test dei prodotti pienamente superato.

Ski Pol, nonostante la buona organizzazione della cucina ed il “rinforzo” di prodotti portati da casa, ogni tanto un pensiero alla cucina di Ski Pol l’abbiamo fatto!

Non dimentichiamo i fornitori tecnici, che non sono stati scelti a caso, ma per la qualità dei prodotti che in un’impresa del genere deve essere assoluta.

Un grazie a: S38, KARPOS, GRIVEL, FERRINO, LOGWIN, OMLOG, KAYLAND, SALOMON, SALICE, FABIO MAINARDI PRINTING, DOTTOR NICOLA

Tashi Delék,

Edmond

Al campo base senza comunicazioni

22 aprile, giorno 15

Eccoci finalmente al campo base (5200 metri s.l.m.) qui la vita è molto diversa dalle realtà da cui proveniamo. Il primo giorno si inizia con l’acclimatamento e quindi tutto va fatto con calma, ascoltando il proprio fisico. Quindi divieto assoluto di camminate con dislivelli o peggio attività fisica sostenuta.Ed anche nel caso in cui ci si sentisse a proprio agio niente prove di forza ma lasciare che il proprio corpo si abitui all’altitudine. In caso contrario le conseguenze potrebbero essere sgradevoli con tanto di mal di montagna che pregiudicherebbe la continuazione dell’ascensione. Cio’ detto, il campo base è un’insieme di personalità molto diverse e di nazionalità varie. Ci sono americani, russi, australiani, nepalesi ed olandesi tutti animati da un medesimo scopo. Scalare la Cresta Nord dell’Everest. Alcuni sono al secondo tentativo perché si sono dovuti fermare prima a causa dei consueti problemi dovuti al meteo o semplicemente ad un cedimento fisico, altri come me sono novizi. Questa è per me la prima ascensione di un Ottomila e mi muovo con una certa circospezione evitando uscite troppo dirette ed ascoltando, ma soprattutto non ponendo la seguente domanda  “ma tu perché hai deciso di scalare l’Everest?”. Penso infatti che – senza scomodare precedenti illustri su risposte date a questa domanda – la necessità di misurarsi con qualcosa di diverso dalla quotidianità nasca da tante motivazioni difficilmente racchiudibili in una risposta a bruciapelo o catalogabili.

Cio’ detto la vita qui è piuttosto spartana e siamo battuti da un vento costante con temperature di meno 10 la notte e miti se non calde di giorno. Quindi la mattina è costellata da una enumerazione reciproca dei dolori dovuti al freddo patito nella nottata. Peccato che, passate le 11.00, all’interno delle tende, la temperatura raggiunga livelli di calore, vicino alla insopportabilità. Ad ogni modo al secondo giorno qualche piccola escursione rientra nella prassi ed abbiamo potuto superare un piccolo colle che sovrasta il campo, vedendo nella sua maestosità l’Everest ed approfondendo con Edmond l’itinerario di salita. Domani un giorno all’insegna della pulizia dai rifiuti lasciati in giro da alpinisti e trekker e al carico sugli yak dei nostri bagagli. Poi partenza per il campo avanzato a 6.250 metri, per meglio capire il nostro grado di acclimatamento.

A proposito, a causa di non meglio precisati problemi di connessionme (io un’idea l’avrei!) non è stato possibile caricare questo pezzo due gioni orsono e di questo mi scuso. Ma alla fine siamo sul tetto del mondo e forse a livello di comunicazione era andata sin troppo bene sino ad ora!

Per ora è tutto, ma anche in questo caso dal campo avanzato, verso il quale partiremo domani, non vi sarà certezza di una continuità nell’aggiornarvi. Non preoccupatevi.!

Daniele

Poco prima della grande montagna

17 Aprile, giorno 10

Finalmente ci siamo: campo base cinese, quota 5150 mt. Facciamo un passo indietro però, a quando stamattina siamo partiti da Shegar o New Tingri: una partenza agognata, un po’ per l’albergo che non era proprio fra i più confortevoli e un po’ anche per il ristorante dell’albergo che nell’ultima notte mi ha confinata in bagno… ecco, ora mi sono presentata, sono Ines e la diplomazia non è il mio forte! L’ultimo step del nostro viaggio in auto si svolge tranquillamente, nonostante i continui stop per i controlli militari, che però vi assicuro si sono molto velocizzati rispetto al 2013, in occasione di un’altra spedizione di cui ho fatto parte, sempre in una regione cinese. Altro fatto assurdo invece, la nostra guida ci vieta di riempire 2 taniche da 20 lt. di benzina che avrebbero dovuto servirci per alimentare il generatore, per paura di un controllo militare. Esiste un certo timore reverenziale da parte della popolazione verso i cinesi. E allora Edmond si inventerà un nuovo gioco di prestigio, abbiamo tutti molta fiducia in lui e nella sua esperienza.

Superiamo il passo Jiawula a circa 5140 mt. e dopo vorticosi tornanti (stile Stelvio) e altri kilometri su un tranquilla strada asfaltata, eccola la più alta tra le montagne, il tanto desiderato EVEREST. Che emozione! Per me un sogno che si avvera. Nascondo le lacrime di gioia dietro gli occhiali da sole, qui indispensabili. Siamo anche fortunati, ci si presenta sgombro da nubi e in tutta la sua bellezza. Impreziosito dal monastero di Rombuk, ultima testimonianza di una cultura Tibetana ormai quasi estinta. Mi sento la più fortunata della terra e anche se le difficoltà sono appena iniziate il morale è alle stelle. Devo ringraziare Edmond che mi ha permesso di far parte di questo gruppo che non ha solo come scopo il raggiungimento della vetta, ma mi permette anche se in modo indiretto di contribuire a due progetti molto nobili, uno umanitario e l’altro ecologico che superano di gran lunga il mio piccolo contributo umanitario iniziato dall’italia in favore del Dynamo Camp. Non ci resta che rimboccarci le maniche e tenere sempre a mente che siamo sopra i 5000 mt. e va fatto tutto molto lentamente. La quota si fa sentire.

Consentitemi di ricordare i miei fratelli Andrea e Tonino morti sul Monte Bianco quando io ero ancora piccola, perché la montagna è nel sangue di tutta la famiglia. Un ricordo all’amico guida alpina Mario, mancato lo scorso anno, perché mi ha addestrato a questa vita molto faticosa e di privazioni ma tanto esaltante e istruttiva. Un grazie a tutti i lettori del blog e soprattutto ai Borghettini sempre pronti a sostenerci. Un Grazie ai miei compagni di viaggio Jean e Daniele che sono persone fantastiche. Un grazie al mio compagno Vittorio che sento per mail tutti i giorni e anche se da lontano è sempre pronto ad elargire consigli. Ma soprattutto grazie ad Edmond perché è merito suo se sono qui.

Mi raccomando continuate a seguirci proprio ora che il gioco si fa duro. A presto.

Ines

Lhasa o Las Vegas

13-15 Aprile, giorno 6,7 & 8

Sabato 13 siamo atterrati a Lhasa 3.650m. Dopo controlli capillari e schedatura con tanto di impronte digitali ad entrambe le mani, si entra in un altro mondo rispetto al Nepal che continua ad esser fra i 10 paesi più poveri al mondo. La prima cosa che appare evidente è la ricchezza della Cina. Sul piazzale dell’aeroporto Maserati e Corvette, non una sola utilitaria. Per chi avesse visto 7 anni in Tibet con Brad Pitt e pensasse di trovare ancora quel tipo di ambientazione, rimerebbe enormemente deluso; Lhasa è oramai una modernissima città cinese da 2 milioni di abitanti in continua espansione. Per certi aspetti ricorda molto Las Vegas, luci e schermi enormi a led con pubblicità sui palazzi, vialoni a tre corsie più la corsia per i ciclomotori elettrici. Non ho mai visto un’antropizzazione così su larga scala, le gru si contano a centinaia. E’ la terza volta che vengo a Lhasa a distanza di 10 anni tra una visita e l’altra, la prima fu nel 2000 ed ancora si poteva respirare il Tibet vero dei monaci, la ruralità e le tradizioni locali. I cinesi hanno mantenuto intatto il Potala ed alcuni altri monumenti ma tutt’intorno potremmo essere in una qualsiasi città cinese. Tenzing (ragazza tibetana), la nostra guida in territorio cinese che ci scorta al campo base del Chomolungma (nome tibetano dell’Everest), ci accompagna a ritirare il permesso di scalata, ma la cosa diventa molto impegnativa. Districarsi nel dedalo di palazzi governativi è un’impresa titanica, tra uffici chiusi per la festività ed il rimpallarci da un palazzo all’altro, la pratica si risolve in due ore.

Domenica 14 è il mio compleanno! Si riparte verso Shigatze 3.836m., un’autostrada a due corsie ha sostituito la strada impervia e sterrata che percorsi nel 2000. Parallela all’autostrada è stata costruita la ferrovia ad alta velocità che è in funzione da tre anni. Lo scopo è portare comodamente i turisti ai piedi del tetto del mondo. Attraversare l’altopiano in passato era un viaggio affascinante un tuffo nel passato, si incontravano famiglie nomadi con al seguito le mandrie di yak che ancora dormivano in tenda, ora tutto questo non c’è più. I cinesi in pochi decenni hanno sradicato la cultura tibetana, gli abitanti si sono ritrovati dal medioevo nel terzo millennio; certo, le comodità dell’energia elettrica, internet, l’acqua calda le strade che collegano ogni piccolo paesino hanno facilitato enormemente la vita quotidiana. Per un occidentale, se da un alto lato si guarda con nostalgia alle tradizioni perse ed un passato che non tornerà più, da un altro punto di vista sarebbe crudele continuare a volere che gli altri debbano vivere come nei secoli passati, solo per l’egoismo del turista che ancora vorrebbe trovare le usanze tradizionali. Fare i parchi e pretendere che all’interno di essi le persone debbano continuare a vivere secondo le usanze del passato, credo che sia una forma di grande egoismo. Ai posteri l’ardua sentenza.

Questa mattina ripartiamo verso New Tingri (4250 m.)– altri 250 km nell’altopiano tibetano – tra 3 giorni saremo finalmente al campo base e avranno inizio i giochi. Non vi salutiamo più con il solito Namastè, saluto nepalese che significa: saluto la divinità che c’è in te, che mi sembra un bel salutare.

Ora utilizzeremo: Tashi Delek, saluto tibetano che è un augurio di buona fortuna.

Edmond