L’attesa

13 maggio, giorno 36

Sulle alpi quando si decide di intraprendere una scalata il tutto dura due giorni, al massimo tre, se la salita è particolarmente lunga e difficile; qui tutto è più complicato. La quota la fa da padrona, condiziona e complica le cose. E’ impensabile arrivare ai piedi di un ottomila e credere che in pochi giorni si possa arrivare in cima; i primi giorni, il fiato corto accompagna le giornate e le pause sono pressoché continue sui sassi che provvidenzialmente appaiono più o meno vicini sul nostro cammino. Guardando in alto, verso la cima il pensiero costante è: “non ce la farò mai…” poi il nostro corpo, piano piano si adegua e giorno dopo giorno ci si sente meglio ed il morale, anch’egli migliora. Bene, ora che siamo acclimatati si passa alla fase più dura dal lato psicologico: l’attesa. Infatti, dopo il periodo di acclimatamento che dura mediamente 20 giorni, occorre aspettare la “finestra” di bel tempo che dà la possibilità agli alpinisti di salire in vetta.  Tutto si complica quando i venti fortissimi “ jet Stream” di queste ultime settimane non accennano a diminuire e l’attesa si prolunga. C’è chi ha già letto 5 romanzi e li scambia con altri alpinisti, c’è chi passa i pomeriggi nella tenda mensa a giocare a carte, chi ascolta musica in tenda, anche se complicato; in tenda con la rifrazione si raggiungono temperature di 40°, si sta in mutande con tutte le cerniere della tenda aperte in modo che l’aria circoli. Fuori, comunque è sempre ventoso e non si può stare senza piumino, per cui è un vestirsi e svestirsi di continuo.  Sembrerebbe che il 15, finalmente, si parta per la salita in vetta, tutti sono impazienti di muoversi. Da segnalare che alcuni alpinisti piuttosto che annoiarsi qui al campo base hanno preferito scendere a valle in un villaggio ad 1h 30’ da qui dove è possibile pescare dormire in un hotel e approfittare di super market e comodità della vita civile… Scendere a valle ad ossigenarsi e distrarsi dopo l’acclimatamento, è una tattica che adottano tanti alpinisti frequentatori degli ottomila e sembra che dia dei benefici soprattutto psicologici per la salita finale.  Nei giorni scorsi in occasione della ricorrenza dell’armistizio tra Russi e Tedeschi con la fine della seconda guerra mondiale (per i Russi è festa Nazionale), i Russi della mega agenzia Seven Summit Club hanno dato sfoggio della loro “forza” invitando tutti gli ospiti del campo base compresi gli sherpa ad un buffet nella loro mega tenda a cupola capace di ospitare più di 200 persone. All’interno, poltrone, divani con tanto di bigliardo, mega tv a led, biblioteca e videoteca molto ben fornite. La tenda cucina, anch’essa a cupola con 5 persone tra cuochi ed aiuti, non ha nulla da invidiare ad un buon ristorante occidentale. Le tende personali sono delle vere e proprie casette con annessa anticamera con tavolino e poltrona e – rullo di tamburi – assenza di sacco a pelo ma un letto a una piazza e mezzo riscaldato elettricamente. I pavimenti sono in parquet come tutte le altre tende del campo, non in terra battuta come il nostro, ahimè… non manca neanche il viale di acceso alberato con palme (finte naturalmente). Il campo ha a disposizione la lavanderia, la parrucchiera per le signore e due massaggiatrici per le gambe indolenzite degli alpinisti che tornano dai campi alti. Tutti, naturalmente, sono rimasti molto impressionati e se si dice che sia fondamentale stare bene al campo base per salire in vetta, a questo punto, credo che i 14 facoltosi clienti di Seven Summit Club siano obbligati a salire in vetta, tutti!

Tashi Delek,

Edmond

Una lunga passeggiata

27 aprile, giorno 19

Negli ultimi 4 giorni le nostre gambe hanno percorso più di 40 chilometri con un dislivello di 2000 metri o forse più. All’andata ci sono volute 14 ore per raggiugere il campo avanzato, con una tappa intermedia che è stata come la classica oasi nel deserto per gli assetati.  Non avevamo dato troppo peso a Edmond quando serafico ci disse “prima di aver tentato un’ottomila nessuno conosce il valore della parola fatica”. Non rimane che dargli ragione. L’ultimo chilometro prima di arrivare al campo base avanzato, sorpassati già da un pezzo i 6000 metri, non riuscivo a fare più di 15 passi prima di fermarmi per riprendere fiato. Questo per darvi il quadro della situazione. L’acclimatamento funziona così: si va al campo successivo, si rimane lì il necessario e poi si riscende. Oltre una certa quota non ci si acclimata più, semplicemente la mancanza di ossigeno si nutre di voi – letteralmente. Detto questo la prossima volta che torneremo qui andremo fino al colle nord che ospita il campo 1 a 7050 metri. Una volta passata la notte a 7050 l’acclimatamento sarà finito. Poi sarà pazienza per trovare la finestra di bel tempo e sentirsi bene per fare gli ultmini 2 campi che ci conduranno alla cima. Sono state giornate toste sia dal punto di vista fisico che mentale. La sola quota prima ti fa perdere l’appetito poi il sonno e il corpo dovendo scegliere tra tenirvi in piedi o lasciarvi morire toglie energie alla digestione. AQUILEA ci da una mano con i suoi Sali Minerali ma il risultato è che si possono perdere più di 10 chili durante una spedizione di 2 mesi come questa. No, non pensateci neanche: non vale come cura dimagrante.

Ad ogni modo ieri abbiamo girato i tacchi e lentamente siamo tornati al campo base: se la salita era stata eterna la discesa non è stata da meno. 9 ore totali. In entrambe le direzioni abbiamo portato sulle nostre spalle zaini da non meno di 12 chili, benchè il governo cinese ci obblighi ad avere uno sherpa personale a testa che però – ad oggi – latita. Ma a voler vedere il bicchiere mezzo pieno tutti questi carichi pesanti in fase di acclimatamento ci farà solo bene per la fase alpinistica. Malmostosi accettiamo la nostra sorte. Dopo aver scattato un paio di fotografie e girato alcune scene abbiamo trovato un pannello solare lasciato dai cinesi dopo le olimpiadi di pechino. La storia è questa: nel 2008 il governo cinese decide che la fiaccola olimpica va portata in cima all’Everest e per filmare l’evento semina il percorso di pannelli solari e ripetitori. Passata la sbornia olimpica tutto rimane dov’è, nella noncuranza propria di tutte queste grandi iniziative in tutto il mondo. Così ieri quando abbiamo incontrato una di queste piccole installazioni abbiamo chiesto a due pastori di portarla a valle. Avrà pesato una quarantina di chili. Diverasamente da quando ci aspettavamo non è stata caricata sugli yak. A pensarci bene è normale: gli yak sono del governo cinese, non dei pastori. Quindi il compenso per questa azione ecologica andrà tutto nelle loro tasche. A noi sta bene.

A metà strada ci è venuto incontro uno sperpa di Seven Summits Treks – la nostra agenzia – portava in dono coca cola e biscotti. Eravamo così assetati che l’abbiamo accolto come uno dei re magi. L’aspetto della disidratazione non è da sottovalutare. Saranno 10 giorni che beviamo esclusivamente acqua di scioglimento. Il problema è che è talmente priva di sali minerali che è come bere niente. Non nutre il corpo. Il problema era già chiaro prima di partire: per questa ragione siamo arrivati qui con 140 chili di alimenti europei. Anzi visto che ci siamo, grazie a LOGWIN per aver pensato al nostro cargo. Perche Sì, abbiamo portato praticamente di tutto. Gli altri compagni di spedizione legati a Seven Summits scherzosamente ci hanno subito preso in giro: “italiani, pizza e mandolino”. Dopo 10 giorni hanno ovviamente cambiato idea. L’alimentazione qui è fondamentale. Tutto il mondo è paese… dilettanti. Meno scherzosamente ieri una giornalista nepalese Kalpana Marajan – anche lei a seguito di Seven Summits per scalare l’Everest –  si è sentita male dopo durante la discesa dal campo avanzato. E’ rientrata che noi eravamo già a tavola, ci ha messo 12 ore a scendere, bianca come uno straccio. Ipotermia e valori di saturazione dell’ossigeno nel sangue molto molto bassi. Subito bombola d’ossigeno e a letto. Oggi sta meglio ma probabilemente non portà continuare la sua avventura. Un peccato perché Kalpana stava riscalando l’Everest per condurre una campagna contro l’abuso sulle donne, dopo la cima avrebbe dovuto intraprendere un tour nelle scuole nepalesi per parlare di questo tema. Fate il tifo per lei.

Ad ogni modo oggi a noi sembra domenica. Riposo. I nostri valori sono perfetti. E questa mattina il pensiero di tutti è stato: DOCCIAAAAAA. Sembra una vita che non ne facciamo una. Ora speriamo che i prodotti del DOTT. NICOLA ci rimettano in sesto, visto che questi 40 chilometri a 6000 metri si stanno facendo sentire: un massaggio è quello di cui abbiamo bisogno.

Ciao Amici, ci sentiamo presto. Per qualche giorno siamo fermi qui al base, poi si riaparte.

Un abbraccio e non state in pensiero.

Jean

Al campo base senza comunicazioni

22 aprile, giorno 15

Eccoci finalmente al campo base (5200 metri s.l.m.) qui la vita è molto diversa dalle realtà da cui proveniamo. Il primo giorno si inizia con l’acclimatamento e quindi tutto va fatto con calma, ascoltando il proprio fisico. Quindi divieto assoluto di camminate con dislivelli o peggio attività fisica sostenuta.Ed anche nel caso in cui ci si sentisse a proprio agio niente prove di forza ma lasciare che il proprio corpo si abitui all’altitudine. In caso contrario le conseguenze potrebbero essere sgradevoli con tanto di mal di montagna che pregiudicherebbe la continuazione dell’ascensione. Cio’ detto, il campo base è un’insieme di personalità molto diverse e di nazionalità varie. Ci sono americani, russi, australiani, nepalesi ed olandesi tutti animati da un medesimo scopo. Scalare la Cresta Nord dell’Everest. Alcuni sono al secondo tentativo perché si sono dovuti fermare prima a causa dei consueti problemi dovuti al meteo o semplicemente ad un cedimento fisico, altri come me sono novizi. Questa è per me la prima ascensione di un Ottomila e mi muovo con una certa circospezione evitando uscite troppo dirette ed ascoltando, ma soprattutto non ponendo la seguente domanda  “ma tu perché hai deciso di scalare l’Everest?”. Penso infatti che – senza scomodare precedenti illustri su risposte date a questa domanda – la necessità di misurarsi con qualcosa di diverso dalla quotidianità nasca da tante motivazioni difficilmente racchiudibili in una risposta a bruciapelo o catalogabili.

Cio’ detto la vita qui è piuttosto spartana e siamo battuti da un vento costante con temperature di meno 10 la notte e miti se non calde di giorno. Quindi la mattina è costellata da una enumerazione reciproca dei dolori dovuti al freddo patito nella nottata. Peccato che, passate le 11.00, all’interno delle tende, la temperatura raggiunga livelli di calore, vicino alla insopportabilità. Ad ogni modo al secondo giorno qualche piccola escursione rientra nella prassi ed abbiamo potuto superare un piccolo colle che sovrasta il campo, vedendo nella sua maestosità l’Everest ed approfondendo con Edmond l’itinerario di salita. Domani un giorno all’insegna della pulizia dai rifiuti lasciati in giro da alpinisti e trekker e al carico sugli yak dei nostri bagagli. Poi partenza per il campo avanzato a 6.250 metri, per meglio capire il nostro grado di acclimatamento.

A proposito, a causa di non meglio precisati problemi di connessionme (io un’idea l’avrei!) non è stato possibile caricare questo pezzo due gioni orsono e di questo mi scuso. Ma alla fine siamo sul tetto del mondo e forse a livello di comunicazione era andata sin troppo bene sino ad ora!

Per ora è tutto, ma anche in questo caso dal campo avanzato, verso il quale partiremo domani, non vi sarà certezza di una continuità nell’aggiornarvi. Non preoccupatevi.!

Daniele